giovedì 20 dicembre 2007

Nietszche. L'Anticristiano - Il radicalismo antimoderno.



F. Nietszche L'Anticristiano - Il radicalismo antimoderno

"[Il grande stile] ha in comune con la grande passione il fatto che disdegna di piacere; che si scorda di convincere; che comanda; che 'vuole'... Riuscire a dominare il caos che si è; costringere il proprio caos a diventare forma: diventare logici, semplici, univoci, diventare matematica, 'legge': ecco la grande ambizione. Ma essa ripugna; niente eccita più l'amore per questi violatori [Gewaltmenshen] - intorno a loro grava una solitudine, un silenzio, una paura come di fronte a un grande sacrilegio.” (tr. it di Franco G. Freda, in "L'anticristiano", Ar, 2004)Il radicalismo antimoderno1. Ogni epoca ha la propria nota dominante, che imprime, per simbiosi — e, a volte, per rifarle il verso — a ogni cosa. La modernità vive del postulato della pluralità. Le interpretazioni devono essere molteplici, la ricerca non avere fine... Così, la ricezione di Nietzsche, nel Novecento, invece che essere comprensione di un enunciato allusivo ma di univoco intendimento (nella sua spietata monotonia), ha attraversato i trivi delle opinioni. Il testo nietzscheano è stato scomposto, complicato, dalla pubblicazione di innumerevoli frammenti, giudicati in collisione normativa con la fisionomia dei suoi insegnamenti. Privi di alcuna ragione sufficiente, questi 'trucioli', questi scarti del labor limae dell'Autore, sono stari impiegati per contestare le affermazioni 'scandalose' del filosofo — in modo che su ogni sua parola si potesse dubitare... Tale depotenziamento del rigore nietzscheano — una decostruzione della fórma, suggerita da voglia di conciergerìe intellettuale —, viene comunemente giustificato con la necessità di leggerne il testo in tutti i suoi accenti. Ma il filosofo Nietzsche avrebbe la definizione per questo: enciclopedismo. E lo psicologo pure: ressentiment.Una edizione delle sue opere con l'originale tedesco a fronte non nasce, perciò, all'insegna della pluralità, della moltiplicazione — della equivocità. Ma per ribadire, con la 'sufficienza' e autorevolezza della scrittura autentica, la lettera giusta e la lettura conforme di Nietzsche. («In summa»: leggere e comprendere Nietzsche significa diventare immediatamente antimoderni. E quando si diventa antimoderni, è impossibile non aspirare a operare contro la modernità. E di ciò si vede sempre il segno...)2. La singolarità di Nietzsche, nel paesaggio della filosofia, sta nell'avere sprezzato l'esigenza postcartesiana della puntualità, della conclusione, e nell'essere ritornato a quello stile di pensiero per cui sapere è una caccia (la «venazione della verità», in Giordano Bruno) e un rischio, un continuo 'assaporare' l'Essere. Il comunicare per enigmi, il sottintendere nel gioco delle parole, in figure verbali, il motivo e il senso delle proprie intuizioni, rese Nietzsche un maestro della pagina scritta, pur senza farne mai, naturalmente, un retore scaltrito. L'attenzione nietzscheana alla parola è niente altro che 'fisiologia dell'essere': desiderare che nessuna possibilità di significato venga negletta. Lo stile letterario del filosofo tedesco esercita la seduzione della purezza. Oltre la scrittura, si ha la sorpresa dell'assoluta assenza dell'io petulante, della mancanza di finalismi, di astuzie vanitose. Anche i testi più 'personali', come Ecce Homo, o, in genere, gli estremi, non parlano d'altro che di destino.Il «grande stile» — che Nietzsche intese quale idea del portamento in philosophicis — è 'convenienza': nel senso classico, ciò che 'si' conviene. La «venazione» nietzscheana contempla così la scienza, in quanto dominio della impersonalità, fattore indispensabile nell'equazione che da la «rettitudine intellettuale». L'occhio per la lettura del mondo ha da risultare, per il filosofo tedesco, acuto e disinteressato. Ma pure sapido, capace di gioioso libertinage. La filologia dev'essere, perciò, non virtuosismo da 'cattivi' della storia, ma archeologia del sapere, dell'essenza dei ragionamenti, e, insieme, auscultazione del presagio. E la filosofìa non l'illusione di un distacco, non il congedo cerimonioso da quel che più merita l'indugio, l'indagine. Non si scordi «ciò che è più prezioso sulla terra nera».3. L'intenzione di questa collana è di favorire la «buona lettura» - la buona esecuzione della partitura, potremmo dire - dei testi di Nietzsche: si da «indovinare» e cogliere le inflessioni della parola dell'«ultimo grande filosofo europeo». Ciò, non per assecondare una voluttà di annessione ideologica di alcune linee della sua multiforme scrittura diagnostica; ma per corrispondere a una volontà di riconnessione ideativa con gli elementi permanenti della sua uniforme visione prognostica. Ovvero, è un proposito di approssimazione alle idee apicali del «radicalismo aristocratico» (o, che è lo stesso, del «radicalismo antidemocratico») nietzscheano, come: l'anelito a una sintesi volta a decidere senza recidere (amor fati); la nostalgia della sufficienza del reale («il senso della terra»); la tornitura «curva» della Verità; il disgusto dello stordimento democratico ed egualitario, il riconoscimento della ineguaglianza e il ristabilimento della gerarchia; il significato sacrosanto della vita superiore, ossia dell'allevamento ubermensch;il privilegio qualitativo dei «pochissimi» — raccolti in una «oligarchia dello spirito» — rispetto ai «più», ai «troppi».Il nome Alter ego segnala, tra l'altro, il senso del rapporto tra revisione del passato e previsione dell'avvenire, rapporto che è lo sfondo immobile entro cui si dispone l'intera visura nietzscheana del presente. Se il duello tra io e altro porta da una dicotomia a una endiadi tra l'io e il suo doppio, allora, quando l'ego sia la modernità, l'esito del contatto con l'alter è la prepotenza nichilistica del presente; quando invece l'ego sia la contromodernità, la sorte dell'incontro-scontro con l'alter è affidata alla purificazione dell'avvenire nella crescita della vita, ritrovata al termine della modernità, cioè alla liberazione dell'avvenire dalla decadenza.4. Pur scegliendo di intitolarsi Alter ego, questa versione delle opere di Nietzsche si guarda bene dal «forsennato orgoglio» di ritenersi felice riproduzione della voce originaria. La traduzione proposta vale da strumento opportuno perché il Lettore, che abbia orecchio, lo accosti al discorso dell'Autore — anzi sia tutt'orecchi alle parole di questi, per non diventarne un orecchiante. Già sarà molto se tale trascrizione riuscirà eco baluginante dei suoni e riflessione diligente delle note nietzscheane. Il traduttore, nel caso di toni così vivi, ricchi e variegati, ci sembra non poter essere di più che un 'passatore': agevolando nell'espatrio il passo originale tedesco del principe Vogelfrei, glorioso bandito.Infine, la dicitura Alter ego è combinazione di segni fondamentali della sintassi filosofica di Nietzsche. Questa si inaugurò nel segno del due — nient'altro che l'uno moltiplicato per sé stesso: elevato a potenza. Schiuse il proprio primo sguardo sui celesti rimandi tra Dioniso e Apollo. Contemplò la tragicità dell'esistenza e convertì il risucchio dell'abisso in ebbrezza del volo (il Vortice' divenne, così, Vertice'). Osservò il numero (la moltitudine) e lo fece numerus (ritmo, danza). Vide il radicale dell'uomo e lo chiamò ubermensch, 'uomo superbo', 'uomo supremo', thèios anèr. Guardò la bellezza e ne catturò insieme le caratteristiche di amor di lontananza e di amor di superficie. Il rispecchiarsi delle coppie tende all'unità loro sottesa: parabola e parola, mythos e mito — tra essi, lo spazio, lo spessore della differenza, è appena quello, sottile e maestoso, di una pagina scritta.


Ar


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